Uno degli argomenti principali usati dai rappresentanti delle istituzioni comunitarie è di affermare che a Bruxelles le lobby sono ufficialmente conosciute, registrate e che tutto avviene nella trasparenza. Ma è solo un eufemismo per permettere al funzionario comunitario o al parlamentare europeo di ricevere rappresentanti anche di grosse aziende e di multinazionali senza incorrere in accuse di negoziazioni sotterranee. Inoltre numerosi sono gli studi di consulenti e di avvocati che le imprese utilizzano per “difendere” i propri interessi (che sono ben lungi dal corrispondere agli interessi dei cittadini europei!).
Stiamo parlando delle oltre 10000 organizzazioni registrate ufficialmente come lobby dell’Unione Europea. 845 sono italiane e di queste 171 in rappresentanza della società civile, 91 della ricerca e dell’università, 50 di strutture regionali e locali e municipali, il resto di aziende di servizi e di grandi o piccole industrie. Significa che la parte più consistente di queste lobby appartiene alle grandi imprese, alle multinazionali, alle associazioni degli industriali e degli studi di consulenza.
Tutto trasparente, come il fatto che non ci si batte ad “armi” pari. Una multinazionale può permettersi uffici e personale stabili a Bruxelles con la capacità di creare reti di contatti all’interno e all’esterno delle istituzioni. Una ONG o un sindacato non può concedersi tale dispiego di forze e fondi, ancor meno le piccole e medie aziende non internazionalizzate che potranno “offrirsi” solo una presenza saltuaria nei momenti considerati più “caldi” delle trattative.
Un eclatante esempio comparativo nel campo della chimica: Greenpeace (che ha forse la più grossa struttura di rappresentanza ONG a Bruxelles) conta uno staff di 15 persone e un budget annuo di €1,6 milioni. La CEFIC (Federazione Europea della Industria Chimica) ha 150 impiegati e €40 milioni annui di budget.
Inoltre nei comitati degli esperti usati dalla Commissione siedono molti rappresentanti legati direttamente o indirettamente alle lobby industriali. Meno di frequente – e se presenti, altamente minoritari – vi siedono i rappresentanti della società civile. Questi ultimi raramente portano pubblicazioni o voluminosi rapporti preparati da personale qualificato se non addirittura scientifico, lavori che spesso risultano finanziati dalle stesse multinazionali o da associazioni industriali.
Il vero lavoro di lobbying avviene all’interno della Commissione, dove ancora una volta spetta ai più grandi l’esclusiva di poter costruire quella rete di contatti che ingloba dal funzionario di base (colui che scrive i testi) ai vertici (chi sopraintende alle istanze di approvazione).
Non ultimo, il contatto coi Parlamentari europei è per le lobby un obiettivo preminente: è da tener sempre presente infatti che essi potranno “riempire” i vuoti di un progetto di direttiva.
In conclusione: se è positiva l’esistenza di un registro coi nomi delle lobby ufficialmente presenti nelle istituzioni comunitarie, ciò purtroppo non garantisce né la trasparenza né la salvaguardia degli interessi della maggioranza dei cittadini europei.
A chi voglia approfondire questa tematica raccomandiamo la lettura di Les courtiers du capitalisme – Milieux d’affaires et bureaucrates à Bruxelles di Sylvain Laurens, Marseille, Agone, « L’ordre des choses », 2015.